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Dante e la creazione dell’italiano letterario - Luca Serianni
È corretto affermare che la lingua italiana nasce con Dante? In realtà vari volgari della penisola, e in particolare il fiorentino, che è alla base dell’italiano moderno, avevano già da molti decenni rappresentazione scritta. E alcuni settori letterari, in particolare la lirica amorosa, erano notevolmente sviluppati. Ma con la Commedia di Dante tutto cambia. Intanto perché molte parole di uso corrente hanno proprio in lui la prima attestazione (da ”cigolare” a ”muso” a ”fertile”); poi, e soprattutto, perché con Dante si dilata la materia dei poetabili. Nel suo viaggio ultraterreno Dante rappresenta l’abiezione dell’Inferno, con un lessico conseguente che non disdegna quelle che oggi chiameremmo “parolacce”, ma anche l’elegia delle anime penitenti nel Purgatorio, spesso ancora legate alle vicende terrene, o il vertice dell’eterna beatitudine nel Paradiso. E rappresenta per la prima volta la vivacità del dialogo («Che vuo’ tu ch’io dica?» dice Forese a Dante, con un moto di sconsolata rassegnazione, prima di deplorare la corruzione della Firenze contemporanea) e il complesso argomentare delle dimostrazioni teologiche e delle trattazioni scientifiche. Dante inventa un metro, la terzina dantesca appunto, con un gioco di rime fondato sul numero tre e prolungabile all’infinito; dilata e rinnova, attingendo al mondo classico, biblico e all’esperienza personale, il parco delle similitudini che, grazie a lui, diventano una risorsa tipica della figuralità poetica. Insomma, e senza ombra di retorica: all’origine dell’italiano letterario c’è proprio Dante con la sua Commedia.